La polenta nelle Marche: un itinerario tra tradizioni, sapori e territori
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C’è un aroma che segna l’arrivo dell’inverno nelle Marche: quello della polenta che sobbolle nel paiolo di rame, rimestata con lentezza in un gesto che sa di casa e di tradizione. È un profumo che richiama le domeniche in famiglia, i pranzi nei borghi e le sagre dove la semplicità diventa gusto.
In questa regione la polenta non è mai identica: cambia aspetto, consistenza e personalità da provincia a provincia, seguendo le stagioni e il carattere di ogni vallata. Dalle montagne al litorale, la polenta marchigiana traccia un percorso gastronomico che è anche un viaggio nella memoria.
Ogni zona custodisce una sua versione, e ogni famiglia un piccolo segreto: più soda in montagna, più morbida vicino al mare, più rustica nelle aree interne. Alla base c’è sempre la farina di mais, che nelle Marche diventa racconto di convivialità. Bianca o gialla, compatta o vellutata, dolce o salata, la polenta è un filo dorato che attraversa la regione: un piatto che sa di legna, di chiacchiere serene e di autenticità.
Dal paiolo alla tavola: tra gusto e tradizione
Cucinata lentamente nel tradizionale paiolo di rame, mescolata con un lungo mestolo di legno e servita fumante sulla spianatora, la polenta è stata per secoli il fulcro della vita domestica marchigiana. Un tempo era l'alimento quotidiano delle famiglie più umili, tanto che a Roma i marchigiani erano soprannominati “marchescià magna pulenda”. Ancora oggi resta protagonista di cucine, sagre e grandi tavolate.
Realizzata con farina di mais macinata a pietra, acqua e sale, veniva arricchita con ciò che la dispensa offriva: un filo d’olio, un ragù di salsiccia, formaggi, erbe di campo, oppure la sapa. Da piatto povero è diventata oggi una preparazione apprezzata anche dagli chef moderni.
Nel solco dello spirito marchigiano del “non si butta niente”, dalla polenta avanzata nascono altre ricette tradizionali. Stesa e tagliata a rombi diventa cresc’tajat, una pasta casalinga ideale con sughi semplici o più strutturati. Impastata e cotta sulla piastra dà invece vita alle cresce di polenta, piccole focacce rustiche da gustare con salumi, formaggi o verdure: preparazioni che raccontano, ancora oggi, l’ingegno e la genuinità della cucina di un tempo.
Pesaro e Urbino: polenta grigliata e tartufo nelle terre del Montefeltro
Nel nord delle Marche, tra i boschi del Montefeltro e le colline costellate di borghi medievali, la polenta prende i profumi di sottobosco e diventa la compagna ideale del tartufo.
In autunno, ad Acqualagna e Sant’Angelo in Vado, potete gustarla in molte versioni: fritta, gratinata, servita su crostini oppure in piccole terrine. Nei mesi delle fiere del tartufo (ottobre e novembre), si presenta compatta, tagliata a fette e arricchita da un filo d’olio extravergine e da scaglie di tartufo bianco pregiato o da porcini appena saltati.
A Urbania e Mercatello sul Metauro è diffusa la polenta alla carbonara di bosco, una preparazione generosa che combina salsiccia, panna e tartufo nero.
In molti borghi del Montefeltro, infine, la polenta diventa quasi cibo da strada: grigliata o fritta, viene servita insieme a salumi e a formaggi tipici come il pecorino di fossa di Talamello.
Ancona e il suo entroterra: quando la polenta incontra mare e campagna
Sulla costa del Conero, la polenta si arricchisce dei sapori del mare. A Portonovo e Numana viene spesso servita con seppie in umido oppure con i moscioli (le celebri cozze selvatiche del Conero) cucinati in un sugo di pomodoro profumato al prezzemolo. Qui la polenta è morbida e vellutata, perfetta per valorizzare il gusto salmastro dell’Adriatico. I locali la chiamano “polenta al sugo di pesce”, e ogni famiglia conserva una propria versione. A Senigallia e Sirolo la troverete più cremosa, quasi soffice, accompagnata da seppie o dallo stoccafisso all’anconetana: un incontro riuscito tra tradizione contadina e saperi marinari. Assaggiarla in riva al mare, magari dopo una passeggiata tra gli scogli del Conero, significa lasciarsi avvolgere da un profumo in cui salsedine e pomodoro si mescolano, specialmente se abbinata a un calice di Verdicchio dei Castelli di Jesi.
Spostandosi verso l’interno, tra i borghi arroccati dell’anconetano, la polenta assume nuove sfumature. Ad Arcevia si prepara una versione considerata da molti la “più buona di sempre”, realizzata con farina di mais ottofile, un antico cereale locale macinato a pietra. Morbida e dal gusto deciso, accompagna alla perfezione sughi di carne o funghi.
A pochi chilometri, a Corinaldo, la polenta si lega alla storia del borgo e al suo famoso Pozzo della Polenta. Una leggenda narra che un contadino abbia fatto cadere un sacco di farina nel pozzo, dando origine a una curiosa “polenta improvvisata”: un episodio rievocato ogni anno durante la Contesa del Pozzo della Polenta, che trasforma il paese in un suggestivo scenario medievale fatto di cortei, banchetti e paioli fumanti.
Nella Vallesina sopravvive anche la polenta “coi grasselli”, arricchita da piccoli pezzi croccanti ricavati dalla lavorazione del maiale: un gusto intenso e rustico, perfetto per le fredde serate d’inverno.
Polenta e cinghiale: i sapori robusti dell’entroterra maceratese
Nel centro delle Marche, la provincia di Macerata conserva alcune delle interpretazioni più intense e corpose di polenta. Nelle aree montane di Sarnano, Visso e Camerino, la polenta viene preparata in versione spessa e dorata, accompagnata da ragù di maiale, cinghiale o lepre insaporiti al ginepro, oppure da sughi ai funghi provenienti dai boschi dei Monti Sibillini.
Nelle campagne di San Ginesio e Caldarola sopravvive l’usanza contadina di rovesciarla direttamente sul grande tagliere di legno, da cui ognuno attinge con la propria forchetta: un gesto antico, che parla di convivialità e di tavolate di un tempo.
In queste zone dell’Appennino si trova anche la polenta alla norcina, in una delle sue versioni più caratteristiche: salsiccia, tartufo nero e aromi di montagna che raccontano l’incontro gastronomico tra Marche e Umbria.
Fermo e le colline tra mare e monti: il gusto essenziale della tradizione
La polenta del Fermano esprime un’anima più sobria, ma altrettanto appagante, fatta di gesti semplici e di sapori che richiamano la vita di campagna. Negli agriturismi della zona viene spesso servita con verdure di stagione o con formaggi locali come la Caciotta dei Monti Sibillini, un abbinamento che profuma di casa e di tradizioni autentiche.
Tra Servigliano e Montegiorgio, invece, è tipica la polenta con sugo finto: un condimento senza carne, ma ricco di cipolla, sedano, carota e basilico. Una preparazione “povera” ma genuina, ideale per chi ama i sapori delicati e la cucina contadina nella sua forma più semplice.
Avvicinandosi ai primi rilievi dei Monti Sibillini, nelle trattorie di Amandola e Montefortino la polenta assume un carattere più deciso. Qui incontra i sughi montani più robusti di lepre, papera o selvaggina serviti su grandi taglieri di legno e accompagnati spesso da un calice di Rosso Piceno Superiore, perfetto per esaltarne l’intensità.
Ascoli Piceno: la personalità decisa della polenta “alla picena”
Nel sud delle Marche, la polenta acquista un carattere ancora più ricco e saporito. Ad Ascoli Piceno e nei borghi delle sue vallate trovate la polenta alla picena, condita con sughi corposi preparati con carni miste di maiale, vitello e pollo, arricchiti da erbe aromatiche e un tocco di peperoncino.
A Offida, terra del vino Pecorino, la polenta diventa piatto delle feste: la si gusta con baccalà oppure con salsiccia e finocchietto, in abbinamenti che raccontano la tradizione gastronomica locale. Nella campagna di Castignano sopravvive l’usanza di cuocerla nei camini a legna e servirla su grandi taglieri di legno, da condividere tra amici e familiari.
Salendo verso le zone montane, tra Comunanza e Montegallo, potete assaggiare la polenta incatenata, una versione più compatta e consistente, tagliata a fette e gratinata in forno con formaggio fuso e carne tritata: un piatto caldo e avvolgente, perfetto per le fredde giornate d’inverno.