Uno squarcio di Medioevo, l’abbazia di Pomposa
Lungo il Po di Volano svetta perentorio il campanile inconfondibile
L’abbazia di Pomposa è uno dei complessi monastici più rilevanti del Medioevo italiano – la chiesa romanica con il magnifico campanile; il monastero benedettino; il palazzo della Ragione, dove l’abate amministrava la giustizia – il tutto immerso in un paesaggio che ancora rende bene l’idea del suo antico isolamento nelle distese del Delta del Po. La sua collocazione, all’incrocio di due direttrici storiche, è rivelatrice: da nord a sud, la Via Romea a quel tempo percorsa dai mercanti e pellegrini alla volta della Città Eterna: di traverso, la strada che da Ferrara seguiva il ramo a quel tempo principale fra quelli in cui il Po si allarga per sfociare nel mare Adriatico. A quel tempo la costa non era lontana. Oggi invece il fiume prosegue ancora per una decina di chilometri, nelle terre guadagnate al mare, fino a Volano, antico villaggio di pescatori, e al Lido di Volano, il primo dei sette Lidi di Comacchio.
Perché è speciale
La Basilica di Santa Maria è uno di quei monumenti capaci di trasportare il visitatore nel tempo. Superato l’atrio colonnato, si penetra la penombra delle tre grandi navate: le colonne romane e bizantine, che rimandano a Ravenna; i pavimenti a tarsie di marmi preziosi a figurazioni naturalistiche; gli affreschi trecenteschi, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, culminanti nell’abside con il Cristo in maestà con Angeli e Santi. Passando poi nel monastero, anch’esso estesamente affrescato: dalla Sala Capitolare, dove si teneva l’assemblea dei monaci, al Refettorio, dove consumavano i pasti in silenzio, ascoltando passi della Bibbia. Tra tante, un’immagine: la Deesis, composizione di tradizione bizantina che vede il Redentore tra la Madonna e il Battista, qui affiancati da San Benedetto, fondatore dell’Ordine, e San Guido, abate di Pomposa innalzato agli altari.
Da non perdere
Elemento di grande risalto nel quadro dell’abbazia è il campanile: per la notevole altezza, certo, 48 metri, ma soprattutto per la nobiltà delle sue forme romaniche. La costruzione risale infatti all’anno 1063 e si deve a un certo architetto Deusdedit, verosimilmente un religioso, che viene ricordato in una lastra murata alla base. Caratteristica è la sequenza di aperture, progressivamente più ampie, che segnano il fusto in cotto rosso e giallo: monofore, bifore, trifore e quadrifore, per alleggerire la struttura e al contempo agevolare la propagazione del suono della campane. Duecento e uno sono i gradini che portano alla cella campanaria, salita che viene premiata dalla veduta su un ampio tratto del Delta. Il concerto è composto da quattro campane moderne, armonizzate in Sol B e ancora oggi suonate a distesa manualmente.
Un po' di storia
Il primo insediamento monastico risale al VI-VII secolo, in età longobarda: una semplice cappella, attorno alla quale prese forma una comunità benedettina destinata a grande sviluppo. Sulle mappe più antiche si trova l’indicazione «Insula Pomposiana» a significare che in effetti l’abbazia sorgeva sul triangolo boscoso disegnato dalle acque di due rami del Po, di Goro e di Volano, e dalla costa del mare Adriatico. La messa a coltura di quel territorio fu la prima fonte di ricchezza dei Benedettini di Pomposa, che poi si fece conoscere come un centro di cultura grazie ai monaci amanuensi che consacravano la propria vita alla produzione libraria. Assurta al rango di abbazia nel IX secolo, raggiunse l’apice della ricchezza nel XII, conoscendo poi un lento declino, dovuto a inarrestabili cambiamenti ambientali, fino alla soppressione avvenuta in età napoleonica. Reclamata dallo Stato a fine Ottocento, che la gestisce come bene monumentale, è parrocchia dell’Arcidiodesi di Ferrara-Comacchio, il cui arcivescovo porta il titolo onorario di abate di Pomposa.
Curiosità
Il palinsesto affrescato della basilica di Santa Maria trova degna conclusione in controfacciata con una rappresentazione del Giudizio Universale. Al di là delle immagini che la compongono, alcune davvero impressionanti, viene spontaneo pensare alle emozioni di quanti le abbiano ammirate nei secoli. Tra di essi, Dante Alighieri, che spesso ebbe a transitare sulla Romea, specie negli anni del suo soggiorno a Ravenna. Lo fece anche nell’estate del 1321 in veste di ambasciatore dei Da Polenta alla volta di Venezia. Fu il suo ultimo viaggio, perché sulla strada del ritorno venne colto da quella febbre malarica che nel settembre di quello stesso anno lo portò alla morte. Resta, a memoria della sua consuetudine con l’abbazia di Pomposa, un passo della Divina Commedia: «Nostra Donna in sul lito adriano», così la cita infatti nel Paradiso quando incontra San Pier Damiani, che per l’appunto vi risiedette verso la metà dell’XI secolo.
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