Nel 1981, l’Amministrazione Comunale ed i cittadini di Andreis hanno dato vita al Museo, donando materiale di epoche comprese tra la metà del XIX e la metà del XX secolo. Fuori dal Museo, spicca una pregevole opera artigianale: un orologio da torre del XVIII secolo, una struttura a gabbia d’uccello in ferro battuto lavorato a mano, che un tempo era collocato sulla torre campanaria della chiesa parrocchiale. Al primo piano dell’edificio, nel corridoio, si può ammirare un corredino per neonato, con abiti bianchi, cuffiette, scarpine, bavaglini, asciugamani, e abiti femminili in nero, come era in uso al tempo: dopo la Prima Guerra Mondiale il nero ha caratterizzato l’abbigliamento femminile, per manifestare il dolore per i lutti subiti, ma nel corso del tempo si è trasformata in una scelta libera che prescindeva dal motivo originario.
Nella stanza a seguire, vicino al corridoio, c’è una cucina antica con focolare, paiolo, piatti, posate, e un primo antenato del girello per bambini, oltre a un filatoio. Nella medesima stanza, è conservata una fretola, una cassettiera portatile di legno, utilizzata nel passato dai venditori ambulanti, chiamati "cremars". Tale contenitore racchiudeva molti oggetti di uso quotidiano, come colori per stoffe, fili, aghi, pettini e tanto altro che i cremars vendevano a domicilio, a volte andando anche fuori dai confini della città. Andreis era nota anche per la lavorazione dell’osso, ricavato dalle corna di toro adulto. Questa, è una forma di artigianato molto antica già nella metà degli anni ’50 era andata persa. Con l’osso si realizzavano pettini e tabacchiere, venduti anche a largo raggio. Si dice, infatti, che qualche venditore sia arrivato perfino a Istanbul. Una tradizione singolare di Andreis di cui il Museo ci offre testimonianza sono le raganelle pasquali, dette anche craceles. La raganella è uno strumento formato da una ruota montata su un perno, attorno alla quale viene fissato un telaio con una lamina. Strisciando contro i denti della ruota produce un suono stridente. Il Giovedì Santo, dopo il Gloria e fino alla domenica di Pasqua, le campane vengono legate e la popolazione viene richiamata alle funzioni non con il loro suono ma con quello dalle raganelle. Un’altra particolarità sono le maschere lignee che venivano indossate a Carnevale, tradizione diffusa anche in Carnia e in Carinzia.
Nel Museo troviamo gli unici esemplari rimasti di queste maschere, di cui non si conoscono ancora le origini o il reale significato, infatti non rappresentano nessuno dei personaggi della Commedia dell’Arte, ma sono volti accigliati e grotteschi, che forse vogliono sottolineare gli stati d’animo umani dove si nasconde drammaticità e comicità. Infine, ricordiamo la bottega del fabbro Barba Anzal (zio Angelo), il cui edificio è stato ristruttrato da poco. Gli attrezzi del mestiere sono stati messi come Anzal li aveva lasciati prima della scomparsa. Si può vedere la fucina, il mantice, l’incudine, il martello, le tenaglie e molti altri attrezzi legati al vecchio mondo contadino. Egli era un fabbro molto versatile perchè forgiava sia oggetti di uso quotidiano che manufatti singolari come le fedi nuziali.