Panoramica
Nonostante abbia subito molti rimaneggiamenti, la basilica di S. Prassede ha mantenuto almeno in parte il fascino e la spiritualità di una chiesa paleocristiana. Tra i primissimi luoghi di culto dell’Urbe, porta il nome della santa romana che la fondò, martirizzata nel II secolo. Prassede era figlia di san Pudente, un senatore convertito citato nelle lettere di san Paolo, che aveva messo a disposizione dei primi cristiani di Roma la propria domus. La santa avrebbe istituito questa chiesa a seguito del martirio della sorella Pudenziana, uccisa poco prima di lei e, a sua volta, titolare di una basilica paleocristiana situata poco distante.
L’edificio che vediamo oggi risale al IX secolo e appare completamente avvolto nel tessuto urbano, tanto che la facciata risulta invisibile dalla strada; il protiro di accesso è quasi sempre chiuso e oggi si utilizza un’entrata laterale. Il meglio però lo rivelano gli interni, la cui pianta a tre navate imita quella della prima, originaria versione della basilica di S. Pietro. Abside e presbiterio scintillano d’oro e colori grazie ai mosaici sul tema dell’Apocalisse, risalenti all’epoca di papa Pasquale I (IX secolo), mentre sotto il pavimento cosmatesco (bellissimo anche se rifatto nel ’900) si nasconderebbe il pozzo in cui, secondo la tradizione, Prassede raccoglieva il sangue dei primi martiri. Sempre a Pasquale I si deve il principale tesoro della basilica, il sacello di S. Zenone, magnifico scrigno di mosaici in stile bizantino che conserverebbe la colonna della flagellazione di Cristo. Una curiosità: tra i volti presenti nel sacello si distingue quello della cosiddetta “Theodora Episcopa”, circondato da un’aureola quadrata, usata per indicare chi al momento del ritratto era ancora in vita. Se dal punto di vista storico sappiamo che era la madre di papa Pasquale, i sostenitori del sacerdozio femminile considerano il titolo “Episcopa” come una dimostrazione del fatto che, nei primi secoli, anche le donne potevano diventare vescovi. La decorazione delle pareti della navata centrale, invece, risale al tardo ’500, quando vari pittori manieristi vi dipinsero scene della Passione. Prima di uscire, cercate su un pilastro della navata destra il busto di Giovanni Battista Santoni, maggiordomo di papa Sisto V: è la prima opera riconosciuta di Gian Lorenzo Bernini, realizzata quando l’artista aveva circa 16 anni.