Sarzana
L’itinerario, che sale e scende praticamente tutto in terra di Toscana, prende avvio in quella specie di “terra di nessuno” condivisa da Liguria e Toscana – ma in questo caso l’espressione è impropria: sarebbe meglio dire “terra di tutti” – che si chiama Lunigiana. Il nome di questa regione storica deriva dall’antica città romana di Luni, i cui scavi si possono andare a visitare poco lontano da Sarzana. Sin qui, comunque, non ci si trova ancora nelle Apuane vere e proprie: per entrarci davvero bisognerà procedere lungo la statale 446 fino a raggiungere Fosdinovo.
Sarzana in se stessa mostra già una sua solida identità: preannuncia il carattere ancora più deciso delle Apuane grazie al suo centro storico, tutto da passeggiare con calma fino alla robustissima Fortezza Firmafede, meglio se sostando in luoghi come la Concattedrale di S. Maria Assunta per prestare attenzione a certe raffinate presenze rinascimentali.
Sarzana è stata ed è anche centro di significative iniziative culturali, specialmente con le numerose edizioni del Festival della Mente, a fine estate, che nella cittadina si è tenuto a partire dal 2004 e ancora vi si tiene.
Fosdinovo
Una decina di chilometri di strade nel verde, a volte tortuose, e oltre quattrocento metri di dislivello separano Sarzana da Fosdinovo, che è il borgo dalle atmosfere medievali dove l’itinerario comincia a entrare sul serio nell’ambiente delle Apuane. Lo scenografico Castello dei Malaspina – la dinastia storicamente dominante in Lunigiana, che proprio qui aveva un ramo familiare principale – offre dai suoi camminamenti di ronda uno splendido panorama che spazia sui vigneti a denominazione protetta dei Colli di Luni e arriva fino al mare di La Spezia. Oltre al Castello, con le sue sale di ricostruzione storica fra aneddoti curiosi, è da vedere con attenzione anche la chiesa di S. Remigio. È però soprattutto il passeggio fra porte di città, piazzette e oratori a svelare il carattere attraente del luogo. Ci si trova in una località certificata dal Touring Club Italiano come Bandiera Arancione, da dove per altro vale assolutamente la pena di raggiungere, a una trentina di chilometri per le provinciali 10 e 11, la più sperduta Vinca dove i sentieri delle Apuane sono a disposizione.
Carrara
Dalle Apuane di Fosdinovo o di Vinca l’itinerario prosegue scendendo – rispettivamente per una ventina o una trentina di chilometri – a raggiungere il capoluogo Carrara, una città il cui nome è su scala internazionale sinonimo di marmo. La pietra è cavata quasi per intero dalla valle del Carrione, il torrente dal breve corso che scende a Carrara, attraversa la città e finisce per sfociare accanto a Marina di Carrara, dove si trovano tanto il porto industriale quanto un’importante marina per le barche a vela.
Non è strano che anche il Duomo di Carrara, dedicato a sant’Andrea, sia fatto di marmo, compreso lo straordinario rosone in facciata. Sulla piazza, la statua che raffigura Andrea Doria nelle vesti di Nettuno dominatore dei mari è una notevole opera di scultura fiorentina del ’500, mentre la lapide che ricorda il rogo del filosofo cinquecentesco Giordano Bruno è firmata dagli anarchici locali, una comunità che da secoli fa notoriamente parte integrante dell’identità cittadina.
Ancora il marmo è al centro del mudaC, il Museo delle Arti Carrara con le sue raccolte di opere contemporanee nell’ex convento seicentesco di San Francesco, e dell’Accademia di Belle Arti: e qui, per imparare a creare, i ragazzi usano oramai anche il digitale.
Colonnata
Non viene spontaneo chiedersi come mai il tratto di Appennino subito a monte di Carrara si chiami Alpi Apuane e non – come in termini geografici dovrebbe – Appennini Apuani. Basta guardare, e l’eventuale domanda sparisce. Il paesaggio è di vette anche vertiginose, sia pure sopra colline coperte d'ulivi, e gli anfiteatri delle cave di marmo, squarci multisecolari nella roccia, offrono spettacoli da girone dantesco che si direbbero dolomitici, salvo che al tramonto non prendono sfumature rosate ma casomai azzurre. Quella fra Alpi e Appennini non è l’unica eccezione linguistica a valere sul posto. Nelle parole d’ogni giorno in uso a Colonnata – nell’entroterra a meno di dieci chilometri da Carrara, non a caso oltre cinquecento metri più in alto – le Apuane sono dette le “Panie”, e le ferite che si vedono nel monte, con le colate dei detriti del marmo che se ne cava, “ravaneti”.
Colonnata, però, è un nome brand in tutto il mondo per un’altra ragione: la sua produzione di lardo, un caso di genio italico davvero.
Massa
Provincia di Massa Carrara. Ci si trova in un territorio con nome doppio, anche se dalle targhe delle auto non lo si intuisce: qui la città di Massa è capoluogo e prende il sopravvento con le sue due consonanti MS, mentre la povera Carrara non fa neppure capolino. Per guidare fra le due città si può scegliere fra un tracciato più breve e più d’entroterra sotto le Apuane (meno di otto chilometri) e un altro diciamo così più industriale che usa un tratto della statale 1 Via Aurelia (anche così, poco più di dieci chilometri) fra pinete verso il mare e sfilate di stabilimenti per il commercio del marmo. I carri ponte per sollevare i blocchi non lasciano dubbi.
Che Massa sia stata storicamente in mezzo alla natura è dichiarato dal nome della centrale Piazza Aranci dove infatti, per citare Leopardi, “in mezzo alla piazza pubblica crescono degli aranci, piantati in terra”. Borda lo slargo il Palazzo Ducale voluto nel ’500 dai Cybo-Malaspina, signori del territorio dopo che i Cybo si erano imparentati con la precedente dinastia dei Malaspina: il nostro itinerario li ha già incontrati a Fosdinovo, e a Massa porta il loro nome il Castello.
Oltre che per le sue presenze storiche, Massa è importante per ospitare un importante Centro visite del Parco regionale delle Alpi Apuane, la vasta area protetta verso monte che dal 2012 è entrata a far parte della rete dei Geoparchi mondiali Unesco.
Forte dei Marmi
Dall’entroterra l’itinerario si sposta eccezionalmente sul mare, rendendo omaggio a una stazione di villeggiatura famosissima per spiagge, discoteche e feste locali con competizioni tra squadre di bagnini, celebrazioni di ricorrenze liturgiche e fuochi d’artificio. Ce ne sono in realtà due di ottime ragioni per raggiungerla: la prima sta nel profilo di sfondo della località, che è disegnato dalle vette delle Apuane, e la seconda nel nome stesso del Forte: qui i “Marmi” sono sostanza identitaria, scritta con la lettera maiuscola, mentre è ancora qui il Forte voluto a fine ’700 dal ducato fiorentino per sorvegliare l’imbarco del marmo verso terre lontane. Non soltanto da Carrara, insomma, si spediva nel mondo la pietra preziosa estratta dalle cave.
Da Forte dei Marmi, l’itinerario sia avvia a chiudersi tornando nell’entroterra montano a raggiungere, passando da Seravezza, il borgo marmifero di Levigliani. Un’altra possibile conclusione potrebbe invece passare da Pietrasanta per salire a Sant’Anna di Stazzema con il suo Parco Nazionale della Pace.
Levigliani
Davvero uno strano luogo, Levigliani. Gli altri abitati nel territorio di Stazzema, nel cuore del Monte Corchia sulle Apuane, a monte di Forte dei Marmi, si sono quasi tutti praticamente svuotati di residenti. Qui no. Anzi, ci sono giovani che vengono a stabilirsi lasciando le loro città d’origine. Perché? Come mai?
Le ragioni si possono cominciare a scoprire risalendo dal Forte per una ventina di chilometri lungo le provinciali 68 e 9. Le radici del successo di Levigliani stanno nella capacità di autorganizzazione dimostrate dalla comunità locale.
Per chi arriva da turista in visita, i risultati di oggi sono visite guidate di due ore e mezza (i biglietti si acquistano in paese al Corchia Park, corckiapart.it) con doveroso caschetto protettivo nelle Cave del Piastraio – viscere di roccia abbagliante in mezzo a colline verdi, tra le pareti squadrate del marmo già cavato – e l’incontro con neo-imprenditori di vino biologico prodotto in quota o di formaggi preparati con metodi sostenibili da latte di pecore rigorosamente autoctone. Soddisfazione reciproca di residenti e di ospiti.
In realtà, le radici lontane di questa attrattività e di questi servizi turistici odierni vanno più all’indietro nel tempo fino al ’700, quando una sessantina di capifamiglia di Levigliani fece resistenza alla decisione del granduca di Toscana di alienare i demani collettivi e abolire gli usi civici: le famiglie reagirono acquistandosi di tasca propria i loro terreni di sempre, e prendendo a gestirseli come proprietà condivisa: una sortai di cooperativa di comunità!
Da allora i residenti non hanno mai abbandonato l’impegno, e anzi si sono, via via, meglio organizzati e strutturati. È insomma una palese dimostrazione che, date certe condizioni e certe condivisioni, il turismo può fare da base all’economia.