“Sono stato sull’acquedotto, che nel tempo stesso è ponte fra una montagna e l’altra. Le dieci arcate che sovrastano tutta la valle, costruite di mattoni, resistono sicure attraverso i secoli mentre l’acqua scorre perenne”. Così Goethe, nel suo “Viaggio in Italia”, descriveva un magnifico scorcio della città che, come suggerisce il poeta, va conosciuta dall’alto. Ma Goethe non fu l’unico fan di Spoleto. Michelangelo veniva a riposare nei boschi spoletini per dimenticare la frenesia di Roma, Stendhal espresse il suo entusiasmo per lo spettacolo naturale della passeggiata che dal centro storico si inoltra nel verde dei colli (oggi viale Matteotti), i taccuini di William Turner riportavano schizzi del paesaggio o della città. Spoleto ha una quinta scenografica verde che è il Monteluco, con la sua foresta di lecci, e affaccia sulla valle del Clitunno.
Due chilometri di mura ben conservate testimoniano l'antica grandezza della città, che conserva ancora la fisionomia medievale assunta sotto i Longobardi, che la elevarono al rango di capitale del ducato e la arricchirono di edifici, trasformandola in un autentico gioiello architettonico. Venne conquistata dal Barbarossa nel 1155 e, dopo essere passata tra i domini dello Stato Pontificio, continuò a godere di una notevole fioritura artistica. L'equilibrio urbanistico, che per diverse centinaia di anni aveva caratterizzato la città, viene spezzato nel 1834 a opera dell'architetto Ireneo Aleandri, che progetta la «Traversa nazionale» per facilitare l'accesso carrabile a Spoleto. Dopo l’Italia unita Spoleto perde il suo ruolo di centro amministrativo subendo con ciò gravi contraccolpi. Bisogna aspettare l’intuito dell'influente Gian Carlo Menotti, che nel 1958 scelse Spoleto come cornice del Festival dei Due Mondi: per due settimane in città non si fa altro che assistere a spettacoli teatrali, concerti, film in location straordinarie, o ci si ferma per le vie a osservare le esibizioni dei buskers.
Rimangono i pregevoli luoghi d’arte, cultura e architettura tutti da visitare, a partire dalla Rocca Albornoziana, a dominio della città e della valle, S. Eufemia, il Teatro romano o il maestoso Ponte delle Torri. Qualcuno riserva anche aneddoti curiosi, come il Duomo affrescato da Fra' Filippo Lippi: si dice che il frate e pittore morì di avvelenamento per aver sedotto la figlia di una famiglia nobile locale ma gli spoletini non si fecero turbare dagli eventi e memori di quel che disse il Vasari sulla loro Cattedrale “poco fornita di ornamenti, soprattutto di uomini illustri”, furono ben contenti di conservare la tomba del frate - progettata dal figlio Filippino Lippi e oggi nel transetto destro. Il cadavere scomparve durante i restauri di due secoli dopo: la teoria popolare è che sia stato portato via dai discendenti della ragazza compromessa - una sorta di vendetta d'oltretomba.