Fin dalla metà del Seicento, nell’antico palazzo del Giglio posto in via Cartoleria Vecchia, era presente una sala teatrale impiegata dai convittori del Collegio dei Nobili dedicato a S. Francesco Saverio per le recite di carnevale e le accademie di fine anno degli studenti. Marina Calore, nel più recente e ampio saggio prodotto su questo teatro, afferma: "Per tutte queste esibizioni da tenersi davanti ad un pubblico qualificato di invitati, è lecito supporre si utilizzasse una sala teatrale (e per le "arti marziali" pure una "cavallerizza") vasta e ben fornita, visto che le recite in particolare, lo deduciamo dagli "argomenti" o "scenari" a stampa, prevedevano la presenza sul palco di molti personaggi, l’impiego di complesse e svariate scenografie e l’accompagnamento di una piccola orchestra" (cit. Calore 1990, p. 88). Di questa sala non è giunta nessuna descrizione, lasciando supporre fosse piuttosto anonima. Nel 1806, il teatro risultava nella lista compilata per ordine del Prefetto del Dipartimento del Reno, con il nome di S. Saverio, insieme ad altre tre sale private bolognesi ad uso di compagnia dilettanti, il teatro Taruffi, il teatro Felicini, il teatro Legnani. Nel 1822 doveva essere ancora in buone condizioni e perfettamente agibile, giacché Antonio Brunetti lo acquistò e lo diede in affitto per spettacoli molto in voga in quel periodo: spettacoli di marionette.
Nella primavera del 1830 Antonio Brunetti, proprietario e ingegnere, decise di modificarne lo status per poter imporre il pagamento del biglietto d’entrata al pubblico che assisteva alle recite, ovvero, ottenere la qualifica di "venale" e per farlo, il teatro doveva soddisfare delle specifiche condizioni. Pertanto pose mano ad una radicale opera di restauro ed ampliamento che terminò alla fine di quello stesso anno, inaugurandosi con lo spettacolo di prosa Amore e crudeltà. La cronaca di un periodico dell’epoca ci informa che il teatro era a pianta rettangolare, con quattordici palchetti, distribuiti su tre piani di fronte al palcoscenico, quattro dei quali costituivano l’ingresso ad altrettante ringhiere poste ai due lati della sala, al medesimo livello dei palchi (cfr. Calore 1988, p. 88 e nota 6).
L’interno dei palchi, i parapetti, le ringhiere e il soffitto sembra fossero dipinti con buon gusto ed eleganza. Il palcoscenico era dotato di un buon numero di scenari, furro del lavoro di abili artisti, di cui non è pervenuta l’identità. Tuttavia, nonostante gli onerosi sforzi di Antonio Brunnetti, il teatro non ottenne la qualifica di ""venale"" a causa della posizione infelice e della già sufficiente presenza di teatri in città. Il sopralluogo del tecnico comunale e del rappresentnate della Nobile Deputazione agli Spettacoli, apprezzaro i lavori di ristrutturazione e le trovarono conformi a quelle di un teatro "venale", mentre la Deputazione pose il suo veto. Intanto che Brunetti cercava di ottenere le deroghe necessarie per mettere in scena spettacoli con biglietti a pagamento, furono date rappresentazioni a scopo filantropico da parte di compagnie dilettanti, molto attive in quel periodo (1831) segnato dai moti insurrezionali e dall’impegno civile. Si rammentano in particolare un Filippo di Vittorio Alfieri portato in scena da Antigono e Agamennone Zappoli e un’Antigone interpretata da Annina Ghirlanda. Una volta volte ottenute le deroghe, il teatro fu dato in gestione al marionettista Onofrio Samoggia, le cui rappresentazioni avevano raggiunto alti livelli qualitativi.
A seguito dei cambiamenti politici e del passaggio di proprietà da Antonio Brunetti ai nipoti (Cesare e Emilio) anche il destino del teatro cambiò: l’ennesima richiesta di esercitare venalmente fu accolta favorevolmente dalla Giunta di Governo, previa esecuzione di urgenti lavori di restauro, che furono eseguiti rapidamente in modo che giò la sera dell’11 febbraio 1860 il teatro riaprì con l’opera in musica. Tuttavia, la sala avrebbe dovuto essere ad ogni modo sottoposta una recupero: i suoi spazi erano troppo modesti, sporchi e non abbastanza illuminati. Senza contare che mancavano le strutture collaterali adeguate. Per queste ragioni, nel 1863 fu aperto il cantiere e Emilio Brunetti, che amava appassionatamente il mondo dello spettacolo, e già in passato si era impegnato per risollevare le sorti del teatro di famiglia, fece dei grossi investimenti affinché la nuova sala risultasse moderna e confortevole.
La sala,infatti, guadagnò due ordini di gallerie e un loggione sostenuti da sottili colonne in ferro, mentre le decorazioni pittoriche erano opera di Valentino Solmi e Gaetano Lodi. Inoltre sul soffitto della platea fu posto un lucernaio mobile a cristalli che era dotato di un moderno impianto di illuminazione a gas (fu il primo teatro di Bologna ad averlo). La sala fu dotata di un sistema di riscaldamento mediante caloriferi posti nei sotterranei, nonché di una cassa armonica posta sotto l’orchestra. E, infine, al primo piano era stato inserito un ampio foyer sito.
Il teatro riaprì la sera del 18 febbraio 1865 con una festa in maschera e conobbe una notevole fortuna.
A partire dal 25 marzo di quello stesso anno gli spettacoli cominciarono a susseguirsi a ritmo frenetico, dapprima con l’esibizione della compagnia acrobatica Ciniselli, poi con opere in musica: Norma, Un ballo in maschera, Barbiere di Siviglia fino alla fine dell’estate, grazie alla presenza del lucernaio mobile. In quegli anni il teatro ebbe un grande successo, grazie soprattutto all’entusiasmo e l’impegno di Emilio Brunnetti, che sapeva bene scegliere gli spettacoli più adatto a un pubblico popolare, e che avesso allo stesso tempo sia una funzione ludica che istruttiva.
Nel 1873 il teatro fu nuovamente chiuso per lavori di ristrutturazione e furono così onerosi che portarono a una forte lite fra i due fratelli proprietari del teatro, di conseguenza il tutto passò sotto amministrazione controllata. Il cambio di guida non limitò l’ascesa del teatro, anzi, le diede un’ulteriore spinta facendogli vivere una fase assai prestigiosa. Proprio nel 1873 fu avviata la stagione di operetta destinata ad avere più ampio spazio. Successivamente, dal 1879, si iniziarono a ospitare i cosiddetti concerti popolari, nel corso dei quali direttori d’orchestra di buon livello permettevano al pubblico di scoprire i progressi della musica strumentale europea (cfr. Calore 1990, p. 93).
Il 6 novembre 1878 re Umberto I e la regina Margherita assisterono a uno spettacolo su invito della Società Operaia ed Artigiana di Bologna. Inoltre, queste mura accolsero anche le conferenze tenute da illustri personalità quali Crispi e Carducci. Infine, nel marzo 1882 vi recitò la grande Sarah Bernhardt che conquistò il pubblico con La Dame aux camélias e Frou-Frou.
Alla fine del secolo il teatro fu acquistato da Cazzani e Lambertini (quest’ultimo proprietario anche del teatro del Corso), il quale decise di intitolarli a Eleonora Duse. La cerimonia ebbe luogo il 12 giugno 1898 con un famoso discorso di Enrico Panzacchi, seguite dalle rappresentazioni de il Sogno di D’Annunzio e La locandiera di Goldoni. Di lì a poco Lambertini morì e il teatro fu acquistato da Re Riccardi, e nuovamente restaurato su progetto dell’architetto Lorenzo Colliva. Nel corso di questo intervento l’edificio subì alcuni importanti cambiamenti come qule l’ampliamento delle gallerie superiori, fu dato un nuovo assetto al boccascena, costruite nuove scale per offrire al pubblio maggiore comodità e sicurezza e fu anche introdotto l’impianto elettrico e rifatte le decorazioni, stavolta per mano di Trebbi e Bazzani. Il teatro Duse fu nuovamente inaugurato il 7 novembre 1904, nella sua nuova veste moderna e sontuosa.
Dell’intervento di Colliva attualmente il teatro conserva assai poco. Il 25 dicembre 1945 (con la rappresentazione di Rigoletto) ha riaperto al pubblico così come lo conosciamo noi oggi: molto semplice, senza le decorazioni originali e due gallerie molto capienti al posto delle eleganti balconate.
In compenso, su questo palcoscenico hanno continuato a esibirsi tutte le più famose compagnie di prosa e di rivista, cantanti di musica classica e leggera e famosi ballerini, continuando la fortunata stagione avviata da Emilio Brunetti.
Dal 1963 il teatro è gestito dall’E.T.I. e da oltre vent’anni la programmazione viene definita in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bologna.